Dott.ssa Elisabetta D’angieri
Psicologa & Psicoterapeuta
Il timore del giudizio è molto frequente nella vita degli individui. Esso limita l’espressione, la comunicazione, la libertà personale, l’interagire con gli altri. Quando si è in preda di questa paura si teme di dire cose stupide, sbagliate, di essere disapprovati, di non soddisfare le aspettative degli altri, di confrontarci, paura di non saperci esporre, di essere insignificanti, timore delle critiche altrui, del fallimento. Tutte queste paure ci fanno sentire sotto pressione e diventiamo confusi, inefficienti, incapaci, paralizzati. Ci sembra di perdere le proprie abilità, tutto quello che è stato conquistato fino a quel momento scompare. Si evita così, il confronto con chi ci metto o crediamo che ci metta in soggezione : “la paura è un tema centrale nella vita, con cui tutti abbiamo a che fare” Krishnananda 2006.
Nella paura del giudizio agisce e contribuisce il senso di vergogna. La vergogna è uno stato interiore in cui siamo convinti che in noi c’è qualche cosa di sbagliato. E’ una sensazione molto diffusa che si prova fin da bambini. La vergogna ha delle “voci” in cui proiettiamo le nostre paure e il giudizio che diamo di noi stessi “sei inadeguato” “non vai bene” “sei vecchio” ecc.
Ci si valuta svalutandosi. Siamo noi che ci giudichiamo. La vergogna genera convinzioni profonde e queste determinano la nostra visione del mondo e il nostro essere dentro. Queste emozioni influenzano la relazione con gli altri attraverso compensazioni: mendicando approvazioni, diventando buffoni, chiudendoci e respingendo gli altri. Queste credenze diventano reali. Ci sentiamo facilmente presi in giro, sminuiti, criticati. Non riusciamo più a difenderci e siamo vulnerabili a “sguardi e sorrisi strani”. Sembra addirittura che gli altri ridano di noi. Diamo così potere all’altro e alle parole che vengono dette interpretandole attraverso le lenti della nostra paura del giudizio.
Ci identifichiamo con le nostre emozioni
Fin da piccoli ci sentiamo dire “sei un bambino timido” oppure “sei sempre arrabbiato” ecc. E’ un linguaggio identificatorio con il quale rinforziamo la nostra identità e il nostro credere di essere in un determinato modo. Noi non siamo quell’emozione. Noi proviamo quell’emozione. Provo rabbia, tristezza, timidezza, paura. Ma non sono la rabbia o la timidezza. Pensare che non sono quell’emozione ma la provo permette di differenziare il nostro valore dalle nostre emozioni. Se io provo rabbia posso decidere di non provarla, reazioni che scegliamo di avere. Se io sono la rabbia non ho “margini di libertà”. Gli stati d’animo si creano dai pensieri che coltiviamo. Siamo noi che diamo vita al nostro pensiero. I nostri pensieri ci appartengono “un emozione è una reazione fisica a un pensiero. Se piangi o arrossisci ecc. è perché prima è giunto un segnale d un centro mentale” (Wayne W.Dyer 2000).
Come aiutarci ad alleviare la paura del giudizio
Sostituire la parola fallimento con la parola esperienza. Noi sperimentiamo. Se ci si permette questo ogni esperienza porta con se qualche cosa di positivo da cui possiamo imparare. Non riuscire in qualche cosa non significa fallire come persona, ma non essere riusciti in quella cosa, circoscritta in quell’evento e in quel momento storico della nostra vita. Noi non siamo quella “cosa non riuscita”, questa è un’esperienza non un valore del nostro Sé. Non confondere, dunque, il nostro comportamento con il nostro Sé, le nostre capacità sono caratteristiche che possediamo, non il nostro valore. Se sono “disordinato” “non puntuale” ecc. non vuol dire che valgo nulla. La perfezione non esiste e inseguirla vuol dire ritrovarsi “paralizzati”. La paura di sbagliare è legata all’opinione altrui, lasciare che gli altri si tengano le proprie opinioni. Non dare spazi a pensieri del tipo “se avessi fatto, detto ecc.” non servono a qualche cosa. Pensare e avere l’obiettivo di piacere a tutti è una meta impossibile. Nessuno può piacere a tutti e anche a noi non ci piacciono tutti. Non chiedere continuamente approvazioni “non è vero che è così? Accettare i complimenti o quello che ci viene dato senza sentirsi in dovere di ricambiare. Non lamentarsi. Raccontare agli altri le nostre insoddisfazioni ha l’effetto di stancare e rinforza e prolunga le proprie scontentezze.