Dott.ssa Elisabetta D’angieri
Psicologa & Psicoterapeuta
Il legame di attaccamento si sviluppa tra il bambino e la figura di riferimento. E’ reciproco e continua lungo l’intero arco della vita, modificandosi a seconda di quello che succede nella vita dell’individuo e il significato che riusciamo a dare ed elaborare. L’attaccamento continua con le persone che incontriamo e che diventano per noi significative. Ha a che fare con la propria identità, il proprio valore, il nostro sentirci amati e degni d’amore e il nostro modo di relazionarci con gli altri. Le caratteristiche dell’attaccamento vengono rivissute sia nel legame sentimentale che formiamo da adulti, sia nel nostro modo di diventare genitori. E’ una peculiarità della qualità delle relazioni intime. Si trasmette nelle generazioni.
L’attaccamento nasce con la nascita del bambino o forse ancora prima: “Il modo in cui una donna in gravidanza si rappresenta e racconta di sé agli altri la propria maternità e il bambino che sta per nascere ha un influenza molto grande non solo sul modo in cui l’alleverà ma anche sul modo in cui il bambino si svilupperà e costruirà le sue relazioni significative”
(Ammaniti e D.N.Stern 1991 pag 83)
I primi studi sull’attaccamento iniziarono intorno agli anni 50, quando a J.Bowlby fu dato l’incarico di studiare, contribuendo ad uno studio delle Nazioni Unite, gli aspetti del problema della salute mentale e i bisogni dei bambini senza famiglia. La prima comunicazione tra una madre e il suo bambino è di natura emotiva ed è una caratteristica delle relazioni intime. Il bambino ha bisogno di sentirsi protetto e al sicuro. Impara e prevede con il tempo il tipo di risposta che arriva dalla figura di riferimento (generalmente la madre) ai suoi bisogni o nelle situazioni di pericolo, sapendo che il genitore è disponibile (o meno) attraverso quello che J. Bowlby chiama Modelli Operativi Interni che sono “schemi di modalità con”.
Il bambino ha bisogno di una serie di immagini e di repertorio d’azioni da intraprendere per raggiunger il genitore, come: chiamare, piangere e correre verso il genitore. Struttura con il tempo una serie di immagini sulle reazioni prevedibili del genitore. Anche il genitore ha un modello operativo reciproco dei bisogni del bambino. La “responsività sensibile” è la capacità da parte del genitore di rispondere in modo adeguato ai segnali del bambino, senza invasione e solo quando è necessario. Essa favorisce il percorso evolutivo del figlio, aiutandolo nei processi di separazione ed individuazione. Questi processi si stabilizzano nell’età adulta quando viene impostata una relazione stabile e durevole con il partner la creazione di una nuova realtà familiare.
I soggetti che disconoscono i propri sentimenti negativi, connessi con le proprie esperienze passate non colgono i sentimenti d ansia dei figli. Se c’è un legame ancora di tipo invischiante (rabbia, rancore, ansia) nei confronti della propria famiglia d’origine le angosce dei figli possono evocare fantasmi del proprio passato e poca attenzione verso il proprio figlio. I bambini che hanno potuto sviluppare un attaccamento di tipo “sicuro” e per cui hanno ricevuto risposte a loro adeguate ai loro bisogni, saranno adulti che hanno la capacità di vivere esperienze intime gratificanti. Hanno fiducia negli altri, riescono a chiedere e a ricevere aiuto. Hanno una buona stima di sé e una buona visione degli altri. Non hanno bisogno di essere protetti, danno importanza alle relazioni intime che sviluppano. Non hanno rabbiosi coinvolgimenti con i loro genitori.
J.Bowlby utilizza una metafora sulla base sicura: “il ruolo della base sicura è simile a quello dell’ufficiale che comanda una base militare da cui una forza di spedizione si mette in viaggio e in cui può ritirarsi in caso di sconfitta. Per gran parte del temo il ruolo ella base è un ruolo d’attesa, ma non dimeno vitale, perché solo se l’ufficiale che comanda la spedizione ha fiducia che la sua base sia sicura può osare spingersi in avanti e correre dei rischi”
Nell’attaccamento di tipo “invischiato ansioso resistente o ambivalente” il bambino ha avuto delle risposte di tipo ansioso o ambivalente ai suoi bisogni. Può aver avuto genitori iperprotettivi e preoccupati ed essere stato a sua volta un bambino incline all’angoscia di separazione. L’esplorare il mondo gli ha creato ansia. Le persona adulte che hanno sviluppato questo tipo di attaccamento sono persone che nelle relazioni intime si pongono in modo ansioso. Hanno bisogno di continue conferme da parte del partner. Temono di essere trascurati, provano rabbia nell’ipotesi che ciò avvenga. Possono mostrare coinvolgimento di tipo rabbioso nell’attuale relazione con i propri genitori.
I soggetti che hanno un tipo di attaccamento “distanziato/distaccato” sono bambini che hanno avuto relazioni con la propria figura di riferimento poco affettive. Sono stati poco consolati. Hanno esplorato il loro spazio ambientale in modo difensivo. Il genitore spesso ha manifestato avversione per il contatto fisico del bambino ed egli non ha avuto aspettative sicure riguardanti le risposte ai propri bisogni di attaccamento. Le espressioni emotive della madre sono state inibite. Da adulti questi soggetti enfatizzano la loro indipendenza e autonomia. Hanno difficoltà a condividere l’intimità emotiva con il proprio partner o con gli amici. Le relazioni intime soni vissute con diffidenza. Contano solo su se stessi.
La struttura delle nuove relazioni che l’individuo instaura nella propria vita, secondo quest’ottica viene organizzata sulla base delle relazioni primarie ed è collegata alla rappresentazione mentale dell’attaccamento. I modelli dell’attaccamento tra genitori e figli sono trasmettibili di generazione in generazione. Nella trasmissione intergenerazionale non è necessario aver avuto una buona infanzia, ma il modo in cui viene elaborata mentalmente in età adulta e se si è verificata o meno una riconciliazione con i propri genitori.